“Il destino è come la verità: esiste, anche se non tutti riescono a sopportarlo.”
— Le braci, Sándor Márai
Un nome spezzato come una promessa
Sándor Márai è un nome che affiora, come un’isola, da un tempo che non c’è più: il tempo della Mitteleuropa, delle stanze borghesi in penombra, del valzer che si dissolve mentre fuori i regimi si preparano a calpestare l’anima. Nato a Kassa nel 1900 (oggi Košice, in Slovacchia). Márai è uno degli scrittori più sottotraccia eppure più necessari del Novecento europeo.Negli anni del disfacimento, Márai scrive come se avesse il compito di fissare su carta ciò che sta svanendo: i riti, le relazioni, la cultura di un’intera civiltà che si frantuma senza rumore. La sua è una scrittura da testimone silenzioso, più che da interprete. E come ogni testimone profondo, Márai non giudica, ma interroga.
La braciere della memoria
Nel 1942, quando la guerra divampa, Márai pubblica Le braci (A gyertyák csonkig égnek), il romanzo che lo consacrerà, mezzo secolo dopo, come maestro delle tensioni inesplose. L’opera verrà pubblicata in Italia solo nel 1998, da Adelphi Edizioni, nella traduzione di Mari Alfaro, diventando un culto improvviso e tardivo.
Un generale riceve, dopo quarantun anni, l’amico che lo ha tradito. Non c’è gesto, solo parole. Ma in quelle parole brucia tutto.
“Le braci” è un testo che si consuma lentamente, come una candela fino in fondo. L’intero romanzo è un monologo lungo quanto una notte: una partitura di silenzi, accuse trattenute, memorie che non sanno diventare oblio. È anche una riflessione sul tempo, sull’amore che si corrompe nella stasi, sulla lealtà e la vendetta. La vendetta che non si compie mai — e quindi diventa eterna.
Una lingua senza nazione
Esule nel cuore, Sándor Márai diventa esule anche nella geografia. Con l’avvento del comunismo, lascia l’Ungheria. Passa per Svizzera, Napoli (dove vive e scrive a lungo), e infine San Diego, California. Muore suicida nel 1989, poco prima che il regime che lo aveva esiliato collassi, quasi a ribadire che certi addii non si possono più invertire.
In questo esilio esteso — psicologico, culturale, linguistico — Márai continua a scrivere, ma non pubblica più in patria. È il destino degli scrittori troppo lucidi per appartenere a una sola patria, a una sola lingua, a una sola ideologia.
Perché oggi ci riguarda
Márai ci riguarda, profondamente, perché ci parla del tempo che sfugge e delle forme che ci illudiamo siano eterne: l’amore, l’amicizia, l’identità. I suoi personaggi non sono mai eroi ma uomini e donne che resistono al dolore con la sola arma dell’eleganza interiore.
In un’epoca di esposizione continua e di reazioni istantanee, Márai scrive per sottrazione.
Leggerlo è un atto di disciplina, ma anche di liberazione.
Frattale Residuo
la forma è una fedeltà al dolore, ma il dolore dimentica di essere stato forma…

